La pioggia continuava a picchiare insistente sul selciato del cortile dell’abbazia. Nim non fu invogliato ad uscire da quel luogo caldo e asciutto; decise così di passare la notte, davanti al caminetto acceso, nella stanza del palazzo dell’abbazia. Era sicuro che niente di peggio, di quello che aveva vissuto poco prima, potesse ancora accadergli, là dentro.
Gettò altri due ciocchi sul fuoco e si stese davanti al caminetto usando lo zaino come cuscino. Fissò pensieroso le fiamme che divamparono aggredendo la nuova legna. Si sforzò di addormentarsi, ma non riuscì a chiudere occhio. Molti pensieri roteavano nella sua mente. Non aveva ricordi del passato, ma in pochi giorni erano successe tante di quelle cose che aveva l’impressione di non avere mai vissuto prima di allora. Pensò che fosse questo il motivo per cui non aveva ricordi: era, come dire, nato già grande ad Ingbrook, in quel campo di battaglia. Sapeva che quelle congetture erano prive di qualsiasi serio fondamento, ma la sua mente si divertì a fantasticarvi. E in quelle fantasticherie si addentrò e si perse, infine addormentandosi: un sonno tranquillo e senza sogni, come raramente gli accadeva.
Quando si svegliò, la pioggia aveva lasciato il posto ad uno splendido sole, già alto nel cielo. Si alzò in piedi e guardò la stanza in cui si trovava: il luogo lugubre della notte precedente sembrò avere, alla luce del giorno, un altro aspetto. Forse perché illuminato dal sole o semplicemente perché il maleficio era stato rotto e la perfida strega lo aveva abbandonato per sempre.
Recuperò lo zaino e riprese il viaggio, quando era già metà mattina. Percorse la strada principale in direzione della Torre dei Demoni.
Era convinto di aver camminato speditamente, il sole iniziava a tramontare: si aspettava di avvistare la torre da un momento all’altro. Quando la vide da lontano, ammise che Grewill avesse ragione: aveva, in effetti, un aspetto lugubre e terrificante.
Su una delle sei pareti, un antico squarcio alla base, mai riparato, testimoniava che la torre era disabitata da secoli. Analogo triste destino aveva subito la parte superiore della struttura: solo due dei dodici antichi merli erano sopravvissuti al tempo. Nim ne guardò l’insieme e una figura demoniaca parve proiettarsi nella sua mente: nei due merli riconobbe le corna e nello squarcio l’orrida bocca pronta ad inghiottirlo. Un brivido attraversò le sue ossa e Nim scosse, per riflesso, la testa.
Nim non ebbe voglia d’altre disavventure e decise di passare alla larga dallo spettrale edificio. Abbandonò cosi la strada puntando a nord e addentrandosi nella parte settentrionale della foresta di Caldera, in una zona con fitta vegetazione e ricca d’antichi faggi dalle variopinte foglie color dell’autunno.
Camminò fino a mezzanotte. Nella densa, e silenziosa foresta, trovò infine un posto che ritenne ideale per accamparsi. Accese il fuoco per riscaldarsi. La notte nel bosco era rischiarata da una splendida luna piena: mai Nim l’aveva vista così grande, gli sembrò che bastasse allungare una mano per poterla toccare. Era il primo plenilunio dopo l’ultimo equinozio d’autunno, il nono giorno d’ottobre. La notte, in quelle zone, era abbastanza rigida. Il cielo però era stupendo, una notte stellata dal firmamento terso. Iniziò a masticare, quasi controvoglia, del pane con carne secca e formaggio che si era procurato a Filla. Si distese infine tra due grosse radici di un vecchio faggio. Riuscì a vedere la costellazione dell’Orsa Minore, individuò la Stella Polare. L’esercizio astronomico svuotò la mente dai pensieri e facilitò l’arrivo del sonno.
Un’improvvisa, e gelida, folata di vento spense il fuoco e lo svegliò di soprassalto. Al posto della fiamma si materializzò la bellissima donna dai capelli d’argento.
«So, che preferisci vedermi e sentirmi così!» disse la voce di giovane donna, in un risolino, «Come vedi, ci rivediamo.»
«Gamil!» esclamò Nim, mentre la sua mano scattò verso l’elsa della spada.
«Fermo! Non puoi nulla contro di me! Almeno finché non ti sarai procurato un secondo zaffiro-rubino», disse la strega.
«Che cosa intendi? Da quel che ne so, gli zaffiri sono azzurri e i rubini sono rossi, non credo esista uno zaffiro-rubino», disse Nim perplesso, mentre iniziò ad estrarre la spada.
«Fermo!» la strega puntò una mano verso di lui e agitò le punte delle dita sussurrando: «Verk taik!»
Nim sentì la propria mano irrigidirsi. Sentì che si rifiutava di estrarre la spada. Sforzò la mente e i muscoli, ma non riuscì ad estrarre la spada di un solo millimetro. «Cosa mi hai fatto?» chiese furioso.
«Niente! Ti ho solo impedito d’essere sciocco. Ascoltami, invece attentamente, ora! Sono in debito con te, visto che, grazie a te, sono libera. Avevo promesso di rivelarti come controllare il tuo potere; e io mantengo sempre le promesse. Ma ti avverto: saldato questo debito, quando m’incontrerai di nuovo, troverai in me solo una nemica. Odio tutti quelli della tua razza, perché si sono presi la mia vita, imprigionandomi nell’Abbazia.»
La strega fece una pausa riprendendo fiato, poi continuò: «Lo zaffiro della tua spada è azzurro, ma dovresti aver notato la luce rossa che emana, quando il tuo potere scorre in esso. Sulla tua spada è incastonato uno dei, soli quattro, zaffiro-rubino esistenti al mondo. Lo zaffiro-rubino è dotato di un enorme potere, è in grado, tra le altre cose, d’essere ricettore e di saper incanalare la forza dell’acqua che scorre in te. Ieri sera la paura ti ha fatto perdere il controllo inconscio che hai sul tuo potere. Lo zaffiro lo ha ricevuto e lo ha trasmesso alla spada permettendoti di sconfiggere Lewyn. Poi lo zaffiro ha liberato tutta la sua energia incontrollata emettendo quell’intensa luce rossa. Il lampo rosso ha distrutto la mia magica prigione lasciandoti senza energie. È così che mi hai liberato, anche se so che non volevi farlo. Tutto questo è successo inconsciamente a causa della tua paura. In realtà tu potresti controllare sempre, e in maniera cosciente, il potere dell’acqua e del fuoco che scorrono in te. Basterebbe che tu possedessi, oltre alla spada, anche l’anello di Sinrasil.»
«Non ti credo, strega. Mi hai già ingannato una volta», urlò Nim scuotendo la testa. Poi, riflettendo più a fondo sulle implicazioni delle parole della strega, la sua curiosità emerse e gli fece chiedere: «E cosa sarebbe l’anello di Sinrasil?»
«Sinrasil era un potente mago e artigiano elfo di Isiliente...» iniziò a spiegare la vecchia nana, ma Nim la interruppe con tono sprezzante: «Sciocchezze! Isiliente è una leggenda, l’ho sentita nei giorni scorsi a Filla.»
«Evidentemente non lo è...», disse un po’ sarcastica la strega, «si narra che gli zaffiro-rubino erano normalissime pietre come tante altre. Essi però s’imbevettero del sangue degli antichi padri elfi, nell’ultima e cruenta battaglia di Andra, sostenuta contro la razza umana, ben duemila anni fa. Il mago e re elfico Arendir, possessore degli zaffiri, li vide colorarsi col sangue dei suoi fratelli: in quel momento d’orrore e di tragedia li maledisse dal profondo della sua anima e legò la maledizione a tutte le razze non elfiche.»
«E cosa c’entra questo con Sinrasil?» chiese dubbioso Nim.
«Lasciami finire...», rispose, seccata, la vecchia strega nana «... in queste pietre coagulò il potere del magico sangue elfico. Arendir pose i termini della sua maledizione: qualsiasi umano, venuto in contatto con essi, non avrebbe sopportato quel grande potere, ne sarebbe stato travolto fino alla pazzia e alla morte. Il potere del sangue elfico poteva essere mitigato e controllato solo da chi possedeva la forza dell’Acqua. L’acqua era, l’unico dei quattro elementi, in grado di spegnere il rosso fuoco del sangue. Solo gli appartenenti all’Albero Sacro e pochi maghi possiedono tale forza.»
Ora Nim era curioso di sentire come finiva la storia: «Continua, strega!».
«L’elfo Sinrasil, ebbe gli zaffiri da una discendente di Arendir, e molti anni dopo forgiò due spade completamente uguali, lui stesso aveva difficoltà a riconoscerle: per questo furono chiamate le spade Gemelle di Sinrasil. L’elfo incastonò nel pomolo d’ogni elsa uno degli zaffiri e sulla lama incise la runa dell’Albero Sacro. La maledizione degli zaffiri si trasferì alle spade: solo un appartenente all’Albero Sacro, e pochi maghi, avrebbero potuto brandirle senza impazzire ed essere sopraffatti da esse.»
«Cos’è l’Albero Sacro? Io ne faccio parte?» chiese Nim ormai completamente affascinato dal racconto.
«Questo non sta a me dirtelo. Non so come mai in te scorre quella forza, ma anche se lo sapessi non te lo direi, dovrai scoprirlo da solo», proferì in maniera ferma la strega scuotendo la testa.
«Va bene! Continua», disse Nim scrollando le spalle.
«Sinrasil forgiò anche due Anelli per permettere il controllo del potere delle spade...»
«...e negli anelli incastonò i due rimanenti zaffiri!» precedette la conclusione Nim.
«Vedo che sei stato attento», ironizzò la strega.
«E come ha fatto, una delle spade di Sinrasil a giungere, da Isiliente, nelle mie mani?», chiese il possessore della spada, mentre tentava ancora di liberare la sua mano irrigidita.
«Come sia giunta nelle tue mani, lo ignoro! So solo che le spade e gli anelli giunsero nella Terra di Grund portate dal mago Agor Asrander. Si dice che egli sia l’unico umano che, da mille anni a questa parte, sia mai tornato da un viaggio da Isiliente», concluse la strega.
«Racconto molto istruttivo! Perché mi hai detto tutto questo?» il tono di Nim era apertamente scettico.
«Ti ho già detto prima, sto saldando il mio debito. Poi nemici come prima», disse affabilmente Gamil, «con quello che ti dirò ora, siamo pari.»
«Avanti! Sputa il rospo», il tono di Nim era fermo, «prima che ti trafigga!» e sguainò la spada meravigliandosi di esserci riuscito.
«Sapevo che alla fine il tuo potere avrebbe liberato la tua mano. Aspetta, pazienta ancora un attimo, fammi finire altrimenti la storia che ti ho raccontato risulterebbe del tutto inutile per te», lo ammonì la strega, alzando il braccio col palmo della mano proteso verso di lui, «Devi trovare l’anello di Sinrasil e metterlo al dito per controllare il potere della spada.»
«Questo me lo avevi già detto, o quantomeno lo avevo intuito.»
«Ma quello che sto per dirti ora è: io so dove si trova uno dei due anelli. È molto, ma molto, vicino», disse in un risolino la strega.
«Lo hai tu?» chiese Nim sgranando gli occhi.
«Ah, ah... No!» sogghignò la strega trasformandosi in un nero pipistrello. «Ma lo avrò molto presto! Uno dei due anelli è in mano a Katragas, il Signore della Torre dei Demoni. Addio mio bel salvatore» e la nana volò via con un frullo d’ali.
Nim si sentì come se avesse vissuto un incubo. Il suo sesto senso gli diceva che Gamil gli aveva teso un’altra trappola. Probabilmente la strega non era in grado di prendere l’Anello a Katragas e cercava di indurlo a prenderlo per lei.
Probabilmente l’anello possedeva altri poteri a lui sconosciuti. Forse non era nemmeno vero che lui avesse bisogno di quell’anello. E se invece la strega gli avesse detto la verità? Sentì l’incertezza della decisione dilaniarlo: continuare per Jamoor o fare una capatina alla Torre dei Demoni?
Decise infine per la prima soluzione: aveva già subito l’inganno di Gamil, non voleva aiutarla una seconda volta.