Celen era uno stallone di quattro anni, un purosangue dall’istinto focoso: ma Nim riuscì a cavalcarlo senza troppe difficoltà. Il cavallo era un morello alto, dal garrese muscoloso e dal dorso robusto e comodo. Occhi scuri e nerissimi s’intonavano con il lucido mantello, che copriva il corpo slanciato, e le lunghe zampe: il tutto gli conferiva un aspetto elegante e fiero.
Marwin guidò il suo cavallo al passo attraverso la piazza di Jamoor fino alla caserma, quindi svoltò a destra, verso la porta sud. Le due guardie e Nim lo seguirono con i loro cavalli disposti in fila indiana. I quattro attraversarono la porta della città senza che nessuno li fermasse od obiettasse qualcosa.
Fuori della città, lanciarono i cavalli al galoppo sulla polverosa strada tagliata dalle lunghe ombre del crepuscolo. Impiegarono oltre due ore di viaggio, per raggiungere il villaggio di Cadhor.
La bottega del fabbro si trovava sulla via che costeggiava il lago, annessa ad un’abitazione circondata da un rigoglioso giardino. Attraverso la gran porta aperta, i cavalieri videro un uomo intento a mantenere viva la combustione della fucina insufflando aria con l’aiuto del mantice. Quando notò i quattro, l’uomo interruppe il lavoro, strusciò le mani sul grembiule, si avvicinò a Marwin e salutò cordialmente l’ufficiale, che rimase, però, sul cavallo. Nim smontò, strinse la mano al fabbro e gli consegnò la pergamena avuta dal marchese. Wilhem la scorse con gli occhi, poi li sollevò verso Marwin e chiese: «Vi fermate a cena con noi, Marwin?»
L’ufficiale ringraziò per l’invito, ma lo declinò: il marchese lo attendeva a Pinion. I tre soldati salutarono e si rimisero subito in viaggio. Wilhem si tolse di dosso il grembiule, lo appese ad un gancio e si rivolse verso il suo ospite: «Credo che, dopo una così lunga cavalcata, sarete stanco, mio signore, e credo anche affamato. Andiamo a casa, Alyssa sarà felice di cucinarci qualcosa di buono.»
«Grazie, sei gentile», sorrise Nim.
«Il Marchese mi ha scritto che i vostri desideri sono anche i suoi, quindi sono a disposizione per qualunque cosa comanderete», disse Wilhem, un omone sulla quarantina dalla carnagione scura, alto e dalla muscolatura possente. Nim notò i suoi pochi e radi capelli sulla testa: il colore castano degli stessi sembrava più chiaro a causa della loro rarefazione. Un naso forte e volitivo separava due occhi grandi dal particolare colore castano chiaro con tenue tonalità azzurra. Una leggerissima barba, lunga una settimana, copriva il suo volto.
«Prima di tutto, Wilhem, ti “ordino” di non chiamarmi mio signore, ma semplicemente Nim e di darmi del tu», disse, e poi, guardandolo in modo prolungato, aggiunse: «Ho l’impressione di averti già incontrato, da qualche parte.»
«Mi spiace, ma non ti ho mai visto prima d’ora, mio... hm, Nim», assicurò l’uomo.
«Beh, non importa. Ora sono curioso di assaggiare le squisitezze che tua moglie ci cucinerà», sorrise Nim.
«Non si tratta di mia moglie, ma di mia sorella. Allora andiamo», gli disse il fabbro mettendogli una mano sulla spalla e accompagnandolo verso casa.
Wilhem sistemò Celen nella stalla, insieme con altri due cavalli, davanti ad una mangiatoia piena d’avena asciutta, quindi entrò, con Nim, in casa.
Alyssa era indaffarata, accanto al caminetto: armeggiava abilmente con un attizzatoio, prendendo e smuovendo pezzi di legno e di carbone ardente.
Quando la ragazza si girò verso di loro, Nim rimase a guardarla impietrito: colpito in modo particolare dal viso incastonato tra i bei capelli biondi. Due occhi azzurri brillavano, ai lati del naso diritto e delicato, e sotto due sopracciglia ben curate. Una bocca ben proporzionata, e dalle labbra di un tenue colore rosa, completava l’armonia del suo bel viso.
La donna notò lo sguardo del giovane e ne rimase turbata.
Anche Wilhem si accorse del modo in cui Nim fissava sua sorella.
«È bella, vero?» chiese il fabbro a Nim, per rompere il ghiaccio.
«Sì!» rispose Nim sovrappensiero. Poi si rivolse ad Alyssa: «Noi ci siamo già conosciuti, vero? Ricordo perfettamente il tuo volto.»
Alyssa rispose sbalordita: «Sono spiacente, signore. È la prima volta che vi vedo.»
Nim era convinto di aver già conosciuto sia Wilhem che Alyssa, ma i due negavano entrambi. Perché? Si stava sbagliando o loro gli nascondevano qualcosa? L’istinto gli suggerì di stare in guardia.
Wilhem consegnò la pergamena del marchese ad Alyssa. Finito di leggerla la donna fece un leggero inchino con la testa verso Nim e disse con tono sommesso: «Sono ai vostri comandi, mio signore.»
Il tallen vat rimase in silenzio: era frastornato.
«Nim ha fatto una lunga cavalcata, è stanco e affamato. Io ho tanto decantato la tua cucina, non mi sbugiardare sorella», disse Wilhem in tono di sfottò verso di lei.
La ragazza non rispose, si limitò a riprendere il lavoro interrotto al momento del loro arrivo.
«Wilhem, il marchese mi ha detto che posso contare sul tuo aiuto e che sei una persona fidata.»
«Sono contento che il marchese Joseph mi onori della sua fiducia», rispose Wilhem, «come posso aiutarti, Nim?»
«Ho un’impresa da compiere: recuperare un anello che si trova all’interno della Torre dei Demoni. So che sei solo un fabbro, vedo, però, che sei anche un uomo robusto, te la senti di aiutarmi?» chiese Nim poggiandogli una mano sulla spalla.
«Brutto posto, quella torre», intervenne Alyssa, «circolano strane e terribili leggende su quel luogo maledetto.»
«Già!» confermò Wilhem, «ma ogni tuo desiderio è un ordine, ti aiuteremo. Dicci cosa dobbiamo fare», assicurò il fabbro.
«No, Wilhem. Sto solo chiedendo un aiuto, non posso e non voglio ordinarti di mettere a repentaglio la tua vita per me. Nemmeno mi conosci», affermò Nim con tono risoluto.
«Io non sono un fabbro», assicurò Wilhem, «sono un capitano dell’esercito di Jamoor. Sono qui in incognito per motivi di sicurezza, dopo i recenti avvenimenti e l’ascesa al trono di un usurpatore agli ordini dei tamrai. Anche Alyssa è un’abile guerriera», chiarì Wilhem rassicurandolo.
«Dicci cosa dobbiamo fare, mio signore», annuì la donna, confermando le parole del fratello.
«Prima di tutto, Alyssa, desidererei essere chiamato Nim e non mio signore. Poi sono proprio curioso di assaggiare le tue prelibatezze. Ma non lo prendere come un doppio senso, per favore», sorrise Nim in modo enigmatico.
«Che peccato, Nim», scherzò, ma forse non più di tanto, la giovane donna.
Intanto Wilhem si affannava, rimescolando e spostando le bottiglie dell’intricata foresta che esse formavano sopra una mensola: «Sorella, non trovo più la pregiata bottiglia d’ambrosia, dono del nostro marchese.»
«E quella cosa sarebbe?» indicò la donna sul centro del tavolo.
Fu questa frase chiave, pronunciata da Alyssa, che illuminò la mente di Nim. Il suono della voce, il tono, la stessa frase l’aveva già sentita. Poi ricordò: si trattava della donna e dell’uomo del sogno. Aveva di fronte le persone che l’accompagnavano nel viaggio verso la Terra di Nessuno. Questo era forse un segno del destino. Decise di raccontare ai due il suo sogno ricorrente.
«Non siamo mai stati nella Terra di Nessuno», confermarono i due fratelli.
«Allora è un sogno premonitore. Forse dovrò andarci e forse voi ci verrete con me», ipotizzò Nim, «sapete dove si trova?»
«Sì, ne ho sentito parlare», rispose Wilhem «è una penisola occidentale del continente di Tanh Man Ra, separata da esso dalle Ju Mlin Kelt, una invalicabile catena di alte montagne. La Terra di Nessuno, chiamata anche Tanh Hamn, si trova a oriente della grande isola di Matum. È molto lontana da qui.»
«Quanti giorni occorrono per raggiungerla?» chiese Nim, più che altro per curiosità.
Intervenne Alyssa: «So che spesso partono delle navi da Neolimon, un porto verso sud, a circa due-tre giorni di cavallo da qui. I vascelli che salpano da lì impiegano quattrocinque giorni per raggiungere il porto meridionale di Trirut, un po’ di più per arrivare fino a Limonhamn. Partendo dal porto di Pinion credo che occorreranno una decina di giorni di nave.»
Dopo la cena, Alyssa accompagnò Nim nella stanza degli ospiti, al piano di sopra. I tre andarono così a dormire, avevano deciso di recarsi alla Torre dei Demoni la mattina successiva. Meglio visitare quel posto lugubre e pericoloso alla luce del giorno.